Cronaca

"Una targa per ricordare l'uomo che salvò dal rogo le ossa di Dante"

La proposta di Ivan Simonini per onorare la memoria di Pino della Tosa nella zona dantesca.

La Cerimonia dell'Olio

Pino della Tosa salvò da rogo le ossa di Dante. Perché, quindi, non onorare la sua memoria con una targa nella zona dantesca.
La proposta arriva da Ivan Simonini, che dopo aver ottenuto l’appoggio del Primo Massaro della Casa Matha, Paolo Bezzi, ha inviato una lettera aperta al sindaco e all’assessora alla Cultura chiedendo il loro sostegno. “Durante un'unica cerimonia, potrebbe essere collocata  anche la targa per lo storico custode Fusconi (che fu per 40 anni guardiano del Mausoleo di Dante) così come caldeggiato a suo tempo da Giannantonio Mingozzi e condiviso dallo stesso Paolo Bezzi”.

LA STORIA DI PINO DELLA TOSA – “Non contento di aver organizzato nel 1329 a Bologna un rogo pubblico del De Monarchia di Dante – racconta Ivan Simonini -, il Legato Pontificio in Italia Bertrando del Poggetto (ufficialmente “nipote” del Papa “avignonese” Giovanni XXII di cui era figlio) pensò bene di organizzare, sempre a Bologna di cui era Podestà, un bel rogo pure delle ossa dell’Alighieri. Occorreva però al Cardinal Bertrando la complicità di Firenze (dove Dante era nato) e di Ravenna (dove Dante era morto). Quanto al Podestà di Ravenna Ostasio da Polenta, era per Bertrando un gioco da ragazzi convincerlo: sia perché i due avevano appena concordato la pace dopo precedenti litigi sull’Impero e Ostasio si era impegnato a restituire Ravenna al Papa nelle mani del Cardinale ottenendo in cambio il perdono per ogni crimine; sia perché, sette anni prima, proprio il buon Bertrando aveva creato le condizioni politiche affinché, all’alba del 19 settembre 1322, Ostasio potesse sgozzare il cugino Rinaldo da Polenta Arcivescovo di Ravenna ed esiliare Guido Novello (fratello di Rinaldo) allora Capitano del Popolo a Bologna, ma in procinto - di lì a qualche giorno - di rientrare a Ravenna come Podestà. E Bertrando ben sapeva che ad Ostasio, intimamente, poteva solo far piacere tutto ciò che toglieva gloria a Guido Novello gran protettore di Dante e nel 1329 ancora vivo. Convoca così nel suo quartier generale di Bologna sia Ostasio da Polenta sia Pino della Tosa, plenipotenziario di Firenze (in quel momento la più potente città guelfa d’Italia) per informarli della sua decisione di disseppellire gli eretici resti di Dante e bruciarli in piazza, proprio lì, sotto i suoi uffici, a eterna infamia della memoria dell’Alighieri.
L’opposizione di Pino (o Pinaccio) della Tosa fu così irremovibile e lungimirante che il Legato Pontificio piromane dovette rinunciare all’idea incendiaria.
Pino della Tosa (1279 - 1337) fu condottiero energico e fine diplomatico, sempre pronto ad assumersi incarichi difficili e delicati per la sua città patria, tanto che il Villani lo definì come il più valoroso e leale cavaliere di Firenze. L’epitaffio al sepolcro fiorentino di Pino della Tosa in S.M. Novella è di Boccaccio.
Volle far credere Ostasio al Boccaccio che anche lui si oppose fieramente al Poggetto ma Boccaccio - solitamente informatissimo su Dante - non se la bevve e parlando della vicenda nel Trattatello elogiò in modo aperto la nobiltà di Pino della Tosa glissando ambiguamente su quella di Ostasio, del quale Boccaccio non poteva certo scriver bene, non potendo neanche scriverne male dal momento che Ostasio lo aveva accolto calorosamente nel 1345 alla Corte di Ravenna, dove Boccaccio avrà poi non pochi affari, una casa e una figlia amatissima. Inchiodare con la penna un tiranno polentano poteva portar male.
Per Ravenna è doveroso onorare finalmente Pino della Tosa con una targa da collocare in un punto consono della Zona Dantesca. Magari invitando a inaugurarla il Sindaco di Firenze tra un anno esatto, durante la consueta Cerimonia settembrina dell’Olio”.


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