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Bruno Ceccobelli, un grande protagonista dell'arte contemporanea a Ravenna

Bruno Ceccobelli si racconta a Ravenna Today, in occasione della duplice mostra site specific allestita presso il Museo Nazionale e la Basilica di Sant'Apollinare in Classe di Ravenna (fino al 30 ottobre 2016).

"La vita scrive una poesia su una goccia d’acqua, che scivola su un’anima tonda": nessuna presentazione è meglio delle sue stesse parole per il Maestro Bruno Ceccobelli. Perugino di nascita e romano di formazione, Ceccobelli è un alchimista contemporaneo di materie, simboli e spiritualità, che con la sua arte ha toccato l'anima dell'arte dagli Anni '70 in poi.

Figlio dell'astrattismo e conterraneo di Alberto Burri, ha presto intrapreso una via originalissima e dato pregio e voce alle ragioni del ritorno alla pittura, diventando di fatto uno dei più grandi artisti italiani viventi. Dopo una nutrita storia di esposizioni in tutto il mondo e curatele eccellenti (Achille Bonito Oliva, per citarne solo uno) Ceccobelli ora è a Ravenna con un duplice progetto site specific curato da Emanuela Fiori, direttore del Museo Nazionale di Ravenna, e Rosa D’Amico (al Museo Nazionale e alla Basilica di Sant'Apollinare in Classe fino al 30 ottobre 2016). Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio la sua arte e il suo rapporto con la nostra città.

Maestro, lei è uno dei più grandi artisti contemporanei viventi ed ora è presente a Ravenna. Qual è il suo legame con la città?
"Ci sono due legami: uno affettuoso per i trascorsi lavorativi: vi ho insegnato per un anno, alla cattedra di decorazione, intorno al 1996, all’Accademia di Belle Arti, alla Loggetta Lombardesca con il direttore Vittorio D’Augusta; più tardi uno stage alla Scuola Gino Severini con Felice Nittolo. In quel periodo per la gran parte del tempo fui ospite dell’editrice Patrizia Dal Re e di suo marito Emilio; naturalmente mi ambientai con la città e conobbi a fondo il suo tessuto sociale e culturale: artisti, artigiani, galleristi e collezionisti. Ravenna è sempre stata speciale per me, oltre che per la sua immensa memoria storica, anche e soprattutto per la sua dimensione architettonica umana: c’è una vivibilità limpida. Un altro legame è quello artistico: ho sempre notato nella mia arte una dovizia nel dettaglio, molto artigiana, dei particolari minuziosi, il frequente uso dei fondo oro, o damascati, e il fatto che sono uno dei pochi artisti che tende a dare dei simboli nuovi ai nostri tempi, tutto ciò mi ha fatto riflettere sulla mia vicinanza alla cultura artistica Bizantina e ancor più intellettualmente mi hanno interessato tutte quelle primigenie discussioni Teologiche tra l’Impero d’Oriente e quello d’Occidente".

A proposito, in merito alla mostra e al dialogo con le icone al Museo Nazionale, tra arte antica e contemporanea: come si collocano le sue opere rispetto alle collezioni classiche, e quanto c’è della sua personale spiritualità?
"Quando penso a questa mia complessa esposizione qui a Ravenna con la vostra raffinata collezione di Icone, l’associo ad un’altra ricca esposizione che feci nel Museo Archeologico di Villa Adriana a Tivoli, nel 2003. Anche in quella occasione, aspiravo a ribadire con le mie opere simboliche spirituali, un concetto per me sempre attuale: la “Vera Arte” è senza tempo, non ha limiti di stile o di nazionalità  e dialoga alla pari, se ne ha la forza, con storie eterogenee dell’umanità. Perciò per me la “Vera Arte” è un'arte eclettica. Dicendo ciò, il pensiero va proprio ad Adriano che per me è un originale ideale di cultura e d’azione. Durante le sue occupazioni l’imperatore apprezzò e rispettò varie culture che conquistò e le bellezze architettoniche e artistiche che fece riprodurre con amore per la sua villa-città fuori Roma, erano la sua testimonianza e omaggio ad un Eclettismo Classico straniero. Pertanto il “classico” in arte e nella cultura in generale, per me, è la giusta armonia di pensieri e di aspirazioni dei rapporti nei vari canoni mondiali".

Invece, sulla grande installazione nella Sala della Sinopia, “Platò Peco Psico Pato”, nelle sue parole “un gregge di pecore dormienti, distese a tappeto”: perché questo titolo, e che cosa nasconde la sua idea di gregge?
"Come è noto, nella teologia cristiana, simbolicamente, la pecora è l’anima che il pastore, il Cristo, deve proteggere dai lupi. Oggi nell’Era Post-Human, le “pecorelle” attuali hanno pochissimi veri pastori, di conseguenza, seguendo istinti facili e quindi banali, si lasciano andare, addirittura si auto-ipnotizzano da sole, una vita dedita solo agli agi. Queste “pecorelle” godono ad essere smarrite, un gregge dormiente che sogna i consumi e non sa che si è fatto da sè merce scaduta".

Come può l’astrattismo moderno tradurre a un fruitore dei nostri tempi il concetto di sacro proprio di un’arte pregressa?
"Come sottolineavo prima, l’importanza della bellezza nella cultura, è tanto più valida per la religione cristiana dove da un certo momento in poi l’arte sacra diventa la consustanzione del Verbo. Addirittura, con l’Impero Bizantino, l’arte domina con il suo splendente stile musivo, la comunicazione e le regole di un vasto territorio, un linguaggio classico che unificò le diversissime tradizioni dell’Europa dell’epoca. Per me, uomo di fede, la mia arte astratta ha ancora un suo sottostrato di quella prospettiva centrale delle Icone Classensi, con ancora incorporato un valore salvifico e maieutico. Ci ritrovo quei segni di luce eterni, quei guizzi di colori particolari che si trasformano in amori, quei miracoli delle figure che si animano e ci sussurrano gioie e drammi unicamente umani".

L’installazione a Sant'Apollinare in Classe, un omaggio alla tradizione musiva: secondo lei, qual è l’eredità che il mosaico ha lasciato nell’arte del nostro tempo?
"La tradizione dell’arte musiva ha una manualità così peculiare che prende più campi e materiali, spazia dal marmo, alle pietre dure, dal ciottolo al vetro: è una via di mezzo tra la scultura e la pittura. Tutte queste tecniche sono un patrimonio indistruttibile di abilità e di conoscenza, per chi sa che la novità scaturisce dal lavoro delle mani che sbagliano. Nelle mie Pecorelle il riuso dei vari materiali che provengono dall’industria, già usati, non sono una novità, è un'operazione Dadaista, ma la mia composizione simbolica e la componente gestuale espressiva, insomma lo spirito di come tratto la materia, è particolare".

Ha sempre affermato di non voler essere artista alla moda: il suo simbolismo va in questa direzione? E' foriero di un messaggio che riesce a superare le epoche storiche?
"Sì, penso di essere, nonostante le numerose esposizioni, un artista di ricerca - che vuol dire sperimentale - e, come disse bene nel 1975 il mio primo critico d’arte Cesare Vivaldi, nella mia prima mostra a Roma: 'al limite del rischio personale'.
Il mio simbolismo metafisico racconta di una ricerca interiore e di sublimazioni che certamente non possono essere di moda, perché sono percorsi intimi e individuali. Ne sono una testimonianza questi miei ultimi articolati lavori rotondi, prodotti con il bitume con una tecnica nuova sperimentata da me con l’aiuto dei miei figli, quasi un lavoro di bottega come nelle vecchie corporazioni".

Cosa invece è cambiato nella Sua ricerca artistica dai tempi delle sperimentazioni giovanili della scuola di San Lorenzo?
"Direi poco: tutta la mia generazione romana nasce sostanzialmente dalle esperienze manuali dall’arte povera e dai nostri studi dell’action painting con il nostro maestro Toti Scialoja, ma abbiamo guardato con un occhi attenti anche all’arte concettuale e minimal. La cosiddetta 'Scuola Di San Lorenzo' nasce da un'esperienza unica di vita privata e di lavoro professionale avvenuta e ancora in corso all’ex pastificio Cerere del quartiere San Lorenzo di via degli Ausoni a Roma, che ha caratterizzato la giovinezza e la maturità di Gianni Dessi, Giuseppe Gallo, Piero Pizzicannella, Nunzio, Marco Tirelli e la mia. A mio  avviso è molto strano, ma bello, che una continuità di lavoro e amicizia duri così a lungo nel tempo, ma forse si deve al posto 'bateau lavoir' e alla placida  romanità, uno spirito di affinità elettiva che ci fa essere tutti differenti nella nostra  ricerca di umanità".


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