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Al convento di San Francesco le mostre "Segni e parole" e "Loss of relevance"

Il convento di San Francesco a Bagnacavallo ospiterà da sabato 10 a sabato 31 ottobre le mostre Segni e parole e Loss of relevance, dedicate a due importanti artisti di origini armene, rispettivamente Alice Tachdjian e Norayr Kasper. Curate da Carlo Polgrossi e organizzate dal Comune, le due esposizioni hanno il patrocinio dell'Ambasciata della Repubblica d'Armenia in Italia. E lo stesso ambasciatore della Repubblica Armena, Sargis Ghazaryan, interverrà all'inaugurazione, in programma alle 16 di sabato 10 ottobre, accanto al sindaco Eleonora Proni e all'assessore alla Cultura Enrico Sama.

Alice Tachdjian (1934-2008), nata a Parigi nel 1934 da genitori armeni scampati al genocidio del 1915 e in seguito accolti in Francia, terminati gli studi ha sposato il pittore Carlo Polgrossi e si è trasferita a Bagnacavallo. Ha insegnato Lingua e civiltà francesi nei Licei linguistici e fondato l'associazione Amici dell'Armenia. Ha affiancato alla sua attività artistica quella di scrittrice.
Segni e parole propone dipinti a olio e alla “nacre” (smalti per unghie) con figure umane, fiori o paesaggi, in immagini che vanno dal figurativo all'informale. «Immagini liquide ove tutto ciò che è rappresentato – scrive Polgrossi – sembra muoversi ed espandersi oltre il supporto che lo contiene. Una sorta di totale modernità espressionista ottenuta con colori dai toni quattrocenteschi.»

Norayr Kasper è un artista visuale canadese di origini armene, cresciuto a Venezia, dove ha studiato fotografia e architettura allo Iuav, e ora residente a Toronto. La sua mostra fotografica, Loss of relevance, è ispirata ai resti dell'eredità industriale dell'Armenia post sovietica, e cerca di rappresentare la perdita di importanza delle macchine e dell'uomo sullo sfondo di un'industria ormai in sfacelo. «All'interno di questi stabilimenti superstiti si collocano i ritratti di operai in vecchie uniformi – si legge nell'introduzione alla mostra –. In un flusso di transizione e trasformazione, i macchinari smantellati, decostruiti, ricomposti e ammassati qua e là accennano un racconto effimero e rigenerativo, evocando la memoria della propria storia. L'intenzione di Kasper non è quella di interpretare la storia, né di documentare il passato, ma è connessa piuttosto con lo stato d'animo, con la perdita del sogno, attraverso gli spazi architettonici e il loro legame con la società odierna.»


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