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Il teatro racconta la tragedia del Vajont

“Vajont, una rabbia più grande della pietà” è lo spettacolo teatrale che va in scena, sabato 13 aprile 2019, alle ore 20.30, al teatro Socjale di Piangipane per la regia di Vilfred Moneta con la compagnia “Teatro del Fiume” da Maserada sul Piave.

Una serata in cui la “finzione” scenica assume la triste connotazione di una pesantissima “realtà” che ha condizionato e continua a condizionare le vite di chi è rimasto incolpevole vittima - sia trapassato che vivente - della tragedia di quel 9 ottobre 1963 e servirà da filo conduttore a Lucia Vastano e Domenico Gavella per avviare la riflessione sui tanti “Vajont” che hanno funestato il pianeta in nome del profitto come religione.

Sulla scena del “Socjale” una coralità di anime, di vittime, di voci - tutte defunte - in una dimensione ultra-terrena supererà il trauma della tragedia collettiva e, riavvolgendo il tempo all’indietro, affronterà con coraggio i maggiori responsabili del più grave disastro dell’Italia moderna. In attesa di una sentenza che tolse alle vittime anche la giustizia e, da quello stesso processo che l’avrebbe dovuta far emergere, qui, finalmente, verrà dispiegato un processo umano, nella piena consapevolezza postuma di chi subì quel disastro: le persone. La sofferenza delle vittime, quindi, evolverà in indignazione informata e in rabbia consapevole, per mostrare quanto solo la profonda conoscenza dei fatti possa fare la differenza tra chi subisce e chi infligge.

“Una rabbia più grande della pietà per i morti” è un concetto estrapolato da una frase di Tina Merlin, (staffetta partigiana, giornalista de L’Unità dal ‘51 all’82 e, dal ’64 al ’70, consigliera provinciale di Belluno), che è servita da spunto nella ricerca dei fatti, incrociata con concreti personaggi e il loro vissuto di quel mondo di cinquantasei anni fa. Vittime di quella maledetta notte o vittime postume, tutte, capaci però, di osservare e descrivere il prima e il dopo tragedia, sino all’attualità.

Le donne, in tutto questo contesto, prendono il centro della scena. Le donne di Longarone, di Erto e Casso. Le donne soggiogate da quella società maschile e maschilista che, in nome della scienza e del progresso, non le vide e non le volle vedere.

L’ultimo elemento su cui si muove lo spettacolo è l’acqua. Non solo quella del torrente Vajont che, occluso dalla diga della SADE, formava il lago artificiale (sollevato oltre i margini di sicurezza) dove la frana staccatasi dal monte TOC, quella sera d’ottobre del ’63, provocò l’ondata che seminò ovunque, nella valle, morte e desolazione. Ma anche quell’acqua da preservare come bene comune e da tutelare per la nostra vita sul pianeta.

Ingresso libero.


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